I Mistreated - Gli spagnoli ci sanno fare: Cella 211 (2009)
Gli spagnoli ci sanno fare. Ma
niente Pedro Almodòvar, per oggi dovrà rinunciare al suo ruolo di squillante
prima donna e fare spazio sul palco ad altri registi: nessuno che voglia competere
sul cinema d’autore certo, ma tutti sorprendenti artefici dell’intrattenimento.
Almodòvar guarda all’Europa, loro all’America. E qualcuno come Alejandro
Amenàbar riesce anche a sbarcarci, grazie al successo di Apri gli occhi nel
1997, sboccato poi in Vanilla Sky, remake immediato (2001) quanto inutile. Juan Antonio Bayona è stato battezzato a regista sotto il segno
dell’angosciante The Orphanage, mentre Jaume Balaguerò è diventato una garanzia
di strizza dopo Fragile (2005) e quel disarmante colpo di genio intitolato [REC]
(brillantezza della durata di 78 minuti punto e stop, alla forca i successivi
tre capitoli). Insomma, sono spagnoli che ci sanno fare soprattutto con la
tensione.
E tra questi registi un piccolo riflettore dovrebbe essere acceso
anche su Daniel Monzòn.
Cella 211 è il merito di Daniel
Monzòn. La storia risale al 2004, dall’omonimo libro di Francisco Pérez Gandul: nulla che sia stato tradotto per un mercato fuori dai confini nazionali. Nel
2009 arriva l’adattamento cinematografico spagnolo in collaborazione con la
Francia, e allora sì che il successo è grande abbastanza da concepire
l’esportazione.
La trama scorre liscia nella sua
semplicità: il giovane Juan Olivier è stato da poco assunto come secondino
presso un carcere in via di trasferimento da una struttura in decadenza a una
costruzione nuova ed idonea. Il giovane vuole fare bella figura, così si
presenta un giorno prima della sua entrata in servizio per visitare la prigione.
Giunto nell’area di massima sicurezza, Juan viene ferito in testa da un pezzo
di intonaco staccatosi da una parete, e due guardie lo soccorrono adagiandolo
nel letto della 211, una cella rimasta vuota. In un fulmineo sovrapporsi di
diverse situazioni colte durante la visita, in quell’istante scoppia una
rivolta proprio fra i carcerati della sezione di massima sicurezza, capitanati dal
forte e carismatico Malamadre. Abbandonato dalle guardie nella 211, Juan per
non essere preso come ostaggio si tuffa nel piano di fingersi un detenuto come gli
altri. Ma lo sforzo per uscirne diventa presto una lotta alla sopravvivenza,
sia fisica che soprattutto mentale, una volta di fronte al pericolo per se
stesso e anche per i propri cari.
![]() |
| Da sinistra, Luis Tosar e Alberto Ammann. Sì, Ammann è Pacho Herrera in Narcos |
Lo spettacolo sta tutto nell’evoluzione
del protagonista, secondo un meccanismo chiaro e per nulla nuovo: il
personaggio ordinario e moderato viene spinto all’estremo da eventi estremi,
con un rovesciamento inizialmente mosso da un magnetismo esterno, incarnato dal
personaggio antitetico al protagonista - che a sua volta subisce una
rivoluzione; un rovesciamento che si spinge poi oltre il punto di non-ritorno per
volere del protagonista stesso, tanto è il fascino della propria capacità di
azione scoperta solo quando messa alla prova. L’allora debuttante Alberto
Ammann e l’eccezionale Luis Tosar tengono il conflitto rovente per tutti i 110
minuti del film: il valzer della Cella 211 fra Juan Olivier e Malamadre è
sempre deliziosamente in sospeso fra chi è condotto e chi conduce.
La storia principale regge tutta
e bene: deve aver soddisfatto anche troppo sceneggiatori e regista, in quanto
si permette di trascurare alcuni elementi a margine della trama, come ad
esempio le vicende parallele della moglie di Juan, o il personaggio del poliziotto
cattivo José Utrilla, che rimangono a sguazzare in superficie rimettendoci in
credibilità nella caratterizzazione e nelle motivazioni. Ingenui o
eccessivamente tragici. Rimangono tuttavia delle componenti non sufficienti a
inceppare il ritmo e spezzare la tensione.
![]() |
| Daniel Monzòn sul set del film tra i due attori protagonisti |
Come i suoi colleghi di maggior
successo, Daniel Monzòn riesce a comprimere l’atmosfera di tutto il film in
un’aria densa e caustica, che ha le sue ventate di tregua solo per tornare più
forte a strozzare il respiro dello spettatore. Sedici candidature ai premi Goya
e otto vinti, tra cui miglior film, miglior regista e miglior attore
protagonista a Luis Tosar. Ma in Italia un incasso di poco più di mezzo milione
nelle sale cinematografiche, causa soprattutto la ridottissima distribuzione e
l’inesistente promozione: chi se ne è occupato, è da rinchiudere.
Credits:
Amman e TosarMonzòn




Commenti
Posta un commento