Blade Runner 2049: il sequel di cui non avevamo bisogno, ma che vogliamo

WOW.
Chiamatemi la Pizia di Delfi. O san Giovanni Battista, se preferite una religione non pagana: sono la voce di uno che grida nel deserto e che vi aveva preparato alla venuta di un film in cui non credeva nessuno. “Blade Runner 2049 sarà degno del suo colossale predecessore. Sarà un buon film, nel senso di oggettivamente ben fatto”: e così è stato, secondo i tre motivi che erano stati elencati qui.
O precisamente, due su tre. Perchè Jóhann Jóhannsson ha abbandonato la nave delle musiche di Blade Runner 2049 a favore di  Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch. La rottura è stata ufficializzata solo l’8 settembre 2017, e non è stata spiegata perché non può essere spiegata: la troupe sembra aver condannato Jóhannsson a una damnatio memoriae, mentre la bocca di Jóhannsson è stata blindata da un contratto di riservatezza. L’indagine di questo blog si è addentrata fin nelle nordiche pagine di Fréttablaðið, ma di fronte alla lingua islandese si è arresa. Questo è l'articolo a riguardo, nella speranza che un lettore aggiornato sugli attuali sviluppi e usi dell’antico norreno possa aiutare con una traduzione. 
I restanti due motivi sono quindi stati omaggiati di profonde riverenze prima da titoli d’Oltreoceano e poi da recensioni nostrane: Denis Villeneuve è “uno dei pochi registi viventi a cui il termine ‘autore’ non sembra poi così lontano” secondo Entertainment Weekly, mentre Badtaste.it onora Roger Deakins dell’epiteto di “Dio della fotografia”.
Perché Villeneuve riesce a rimanere commerciale pur concedendosi una maestosità e solennità tali da mettere lo spettatore in soggezione: Blade Runner 2049 è un film autorevole e lo si percepisce soprattutto dal suo incedere lento e pesante. Ritmo troppo esasperato e addirittura tempi morti? È Blade Runner gente, un noir fantascientifico che si trascina dietro un bagaglio di significati così imponente da non poter essere sollevato come una ventiquattrore e portato in giro fischiettando a passo sciolto. Il ritmo è quello giusto e no, non annoia.
Mentre grazie a Roger Deakins si può stoppare la pellicola in qualsiasi momento, prendere quell’inquadratura e incorniciarla per appenderla al muro. Ogni frame è una composizione raffinatissima, e anche il designer Dennis Gassner merita un riconoscimento sentito: se c’è un aspetto in cui Blade Runner 2049 supera nettamente il capolavoro del 1982, quello è la scenografia.
Ridley Scott che pianta il muso
perché vuole più caramelle
Perché trent’anni fa la tecnologia era limitata, ma soprattutto Ridley Scott non si poteva permettere budget comodi: nel 1979 aveva sì sfornato quel successone di Alien, ma solo dopo aver scatenato l’inferno con Il Gladiatore i finanziatori hanno permesso al piccolo Ridley di scofanarsi tutte le caramelle nei loro negozi di dolciumi. Questo per dire che, causa i 28 milioni in cassa, gli esterni ripresi ad altezza d’uomo si dovevano limitare a un set costituito da un’unica strada nel 1982. Nel 2017 la spesa è ammontata a ben 250 milioni di dollari, e la differenza è notevole: finalmente questa Los Angeles buia, fumosa e umida la possiamo esplorare in una varietà di ambienti esaltante. Ne visitiamo le campagne deserte, ci spingiamo nella sua periferia immonda e ci facciamo pure una gitarella fuoriporta in una famosa città il cui nome non spoilererò.
Non si può però rimandare oltre il faccia a faccia con il tasto dolente del film: la sceneggiatura di Hampton Fancher.
Hampton Fancher è stato quello che agli inizi degli anni Ottanta ha preso in mano Do androids dream of electric sheep? di Philip Dick e ha pensato che ci si potesse ricavare un bel copione per il cinema: è lui che ha detto basta alla ferraglia androide e ha lavorato piuttosto sul concetto di replicante. Ha scritto e riscritto e ne ha ricavato una sceneggiatura intima e romantica, passata dal titolo di Mechanismo a Dangerous Days per arrivare infine a Blade Runner. Sceneggiatura in gran parte buttata nel cesso, dal momento che Ridley Scott ha convocato poi David Peoples per rendere il progetto più pop. Ma insomma, Hampton Fancher era il più legittimato artisticamente a cavar fuori un seguito da Blade Runner, anche in direzione ostinata e contraria a tutte le lagne del “Così rovina un cult, non può farlo”. Sì che poteva, e l’ha fatto. Pure bene.
Storyboard di quella che sarebbe dovuta essere la prima scena di Blade Runner
nella sceneggiatura del solo Hampton Fancher, e che alla fine venne scartata e mai girata
... fino ad oggi. 
La struttura è solida, e nonostante di un seguito di Blade Runner non ci fosse bisogno, il potenziale della trama risulta così forte e il suo sviluppo è così coinvolgente che dopo 163 minuti tu spettatore lo vuoi quel seguito. Ne vuoi cogliere ogni sfaccettatura, ne vuoi discutere e magari lo vuoi rivedere. Insomma, si potrebbe rovesciare un famoso verso in “you can’t always get what you need, but if you try sometimes you just might find you get what you want”. Ciononostante (è una congiunzione che non vedevo l’ora di piazzare) la sceneggiatura rimane il lato più scoperto.
Il 2049 perde il controllo su quel nodo ancestrale che il 2019 riusciva luminosamente ad estrarre dai bassifondi della natura umana per portarlo sullo schermo: il tema della caducità dell’esistenza. Il rapporto con la morte e l’anelito alla vita: perché il passaggio sulla terra possa avere un respiro eternizzante, anziché andar perduto nel tempo “come lacrime nella pioggia”.   
Poco o nulla da eccepire su dialoghi e personaggi. Solo al villain
di Jared Leto mi vien da dire: figlio mio, parla come mangi.
L’origine è l’argomento su cui più si concentra il 2049: Villeneuve apre svariate porte sul baratro e ci si cala con quesiti di indubbia profondità, ma non scatena un terremoto che apra una faglia nella coscienza dello spettatore. Il motivo? La declinazione della trama su una sfera tanto personale da ridursi al famigliare. Roy Batty uccideva il proprio Creatore e il tutto assurgeva a un livello epico. L’Agente K indaga su un caso che potrebbe spaccare il mondo, ma che poi scivola in un problema individuale: forse più toccante, di sicuro meno universalizzante.
La pianto con i paroloni e con questo post, per rispondere alla domanda che più ho visto ricorrere nelle recensioni altrui: Blade Runner 2049 è Blade Runner? Sì, perché arricchisce di validi spunti quella ricerca esistenziale riassumibile nella domanda “Che cosa è l’uomo?”. E a voi che temete il possibile giorno in cui gli universi di Alien e di Blade Runner collideranno in un solo progetto unificante di Ridley Scott, in verità in verità dico (volevo chiudere sempre con una citazione non pagana): finché i sequel sono tanto degni, ben vengano.

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Fonti: Dangerous days: making Blade Runner (2007)
Blade Runner 2049
Ipotesi di complotto sull'universo unificato di Alien e Blade Runner

Credits: Blade Runner 2049
Ridley Scott
Jared Leto
Storyboard

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